L'Ave Maria? Si può cantare solo fuori dalla liturgia

Partiamo dai documenti ufficiali, se ci sono. Dopo l’entrata in vigore dell’Ordo celebrandi Matrimonium, che ha restituito una ambientazione schiettamente liturgica alla celebrazione delle nozze, è stato chiesto alla Sacra Congregazione per il culto divino come considerare alcuni brani musicali normalmente utilizzati nella cerimonia nuziale, il tutto scritto in un articolo di per sè non ufficiale ma pertinente.

Nello specifico, ci si riferiva a: Marcia nuziale di Mendelssohn, Marcia Nuziale di Wagner, Largo di Haen­del, Ave Maria di Gounod, Ave Maria di Schubert, Aria di chiesa di Stradella. Per rispondere adeguatamente, la Sacra Congregazione ha interpellato 13 esperti: 9 musicisti e 4 liturgisti, su scala internazionale. Dalle risposte sono emerse alcune indicazioni che riportiamo.

In generale gli interpellati hanno espresso parere negativo, non per l’intrinseco valore artistico dei brani, ma perché ritenuti non adatti all’uso liturgico. Accettare senza riserve queste misure significherebbe far perdurare un passato anacronistico.
Anche se tali brani musicali con l’uso ed il tem­po hanno ottenuto una certa caratterizzazione sacra, è doveroso e necessario favorire melodie e canti non di semplice ascolto, ma di vera partecipazione comunitaria, secondo le norme e lo spirito liturgico.
Dunque i brani in questione appartengono ormai ad un vecchio repertorio, liturgicamente non funzionale, stili­sticamente sorpassato che occorre gradatamente rinno­vare [...].

Altro documento, questa volta ufficiale, è il Rito del Matrimonio, pubblicato dalla Cei il 4 ottobre 2004.

Nella presentazione al n. 30 così è scritto: «I canti da eseguire siano adatti al rito del Matrimonio ed esprimano la fede della chiesa, in modo particolare si dia importan­za al canto del salmo responsoriale nella liturgia della Parola. Quello che è detto dei canti vale anche riguardo alla scelta di tutto il programma musicale». Alle pagine 253-264 il rito prevede alcune melodie per i vari momenti rituali del matrimonio. Nessun divieto, ma il richiamo a un uso liturgico del canto.

Inoltre singoli vescovi di alcune diocesi italiane sono intervenuti con alcuni documenti relativi alla celebrazione del matrimonio in chiesa, specificando anche com­portamenti e ruoli dei vari addetti – fotografo, musicisti, tecnici – e indicando alcune norme circa i canti da pre­ferire o escludere per il rito. Le motivazioni addotte per l’esclusione di alcuni canti e musiche, sono di carattere storico, di opportunità e di non pertinenza al rito; in conclusione: sono canti religiosi, ma non liturgici e le musiche sono state composte per finalità profane.

Analizziamo i brani: Franz Schubert compose l’Opus 52, un gruppo di sette canzoni (Lieder) tratte dal poema epico (La donna del lago) dello scrittore scozzese Walter Scott, tradotto in tedesco da A. Storck che lo adattò.). Nessuna storia di amanti o altre situazioni scabrose che a volte vengono addotte come motivo del rifiuto verso questo brano; è invece l’invocazione di una ragazza per la salvezza di suo padre. Nel corso degli anni a questo è stato sostituito il testo dell’Ave Maria in latino; anche altri autori e cantanti hanno adattato altre parole alla musica, rimasta sempre identica.

L’altra Ave Maria è stata composta da Gounod nel 1859, che scrisse per violino una melodia, utilizzando come accompagnamento pianistico il I Preludio dal Clavicembalo ben temperato di J.S. Bach. Successivamente fece una elaborazione per canto e orchestra, con il testo in latino dell’Ave Maria.

Come comportarsi? Il discorso canti e musiche va inquadrato, a mio parere, nel discorso più ampio del sacramento e del rito che viene preparato e celebrato. Non possiamo dimenticare le attese e le aspettative di sposi, genitori, parenti e amici. Sembra che la chiesa venga ap­paltata agli sposi che, con l’aiuto di fotografi, musicisti, sacristi e anche qualche improvvisato scenografo, riten­gono di poter organizzare a proprio piacimento il rito e la location. Così non è. Giustamente c’è la preoccupazione da parte dei sacerdoti di celebrare un rito cristiano, pur nella solennità e nella gioia del momento. Vanno evitate le due soluzioni estreme: niente strumenti, cantanti soli­sti e violini vari, ma soltanto l’organo; e l’altra soluzione in cui tutto e permesso e la chiesa viene trasformata in un set televisivo di dubbio gusto. Per risolvere le questioni, come sempre bisogna partire dal rito, dalla celebrazione, dalla liturgia e formare con catechesi opportune, durante la preparazione, gli sposi e i parenti vari. La celebrazione del matrimonio non può diventare una festa folcloristica o essere trasformata in uno spettacolo profano, assecondando idee strampalate o gusti personali alquanto kitsch.

L’altro problema arduo: la presenza dei musicisti – organista, violinista, cantante, coro, quartetto d’archi, arpa –, come prepararli, come gestirli. Dire subito «no, in questa chiesa si suona solo l’organo», diventa una soluzione semplicistica e immotivata sotto l’aspetto liturgico, pastorale, musicale, canonico. Durante le messe domenicali o durante alcune ordinazioni, anche noi utilizziamo vari strumenti, mettiamo in campo varie ministerialità e professionalità; il tutto senza alcuno scandalo, anzi con la certezza di preparare una vera celebrazione solenne e partecipata, dove ciascuno svolge il proprio compito a servizio di tutta l’assemblea. Perché non si potrebbe gesti­re alla stessa maniera anche una messa di matrimonio? Le diocesi dovrebbero organizzare corsi di preparazione per i musicisti dei matrimoni e spiegare quali sono i can­ti indispensabili e richiesti dal rito (acclamazioni, salmo responsoriale, alleluia, canti rituali e processionali). La presenza dei musicisti, specialmente di un coro, potreb­be aiutare e coinvolgere l’assemblea a una partecipazione più piena e visibile.

L’ultima questione: si possono suonare e cantare le Ave Maria e gli altri brani ormai entrati nel repertorio classico e diventate segno sonoro e simbolo del matrimo­nio cristiano? Dopo tutte le premesse e le considerazioni di carattere storico e musicologico, la risposta non può che essere positiva. In questi ultimi anni c’è stato un pas­sa parola da una diocesi all’altra, da un vescovo all’altro che prendevano posizioni negative non supportate da argomentazioni valide di carattere liturgico e pastorale. Si sostiene e si scrive che sono brani proibiti; ma da chi e in quale documento ufficiale della chiesa universale o italiana? Come abbiamo visto all’inizio, c’è solo una risposta a un quesito posto alla Congregazione per il culto.

L’unico motivo da addurre è la non pertinenza ri­tuale di tali canti se eseguiti in momenti non adatti. Cantare l’Ave Maria all’offertorio o alla comunione, non risponde a una scelta pertinente. Ma eseguirla durante le firme, come omaggio alla Madonna, per quale motivo non dovrebbe essere consentito? I motivi a volte sono di carattere esecutivo, specialmente se è l’amico, il parente della sposa che vuol fare un dono. Infatti a volte capita di ascoltare veramente delle brutte esecuzioni di can­tanti improvvisati e di voci da discoteca: queste vanno ostacolate e impedite, ma perché la voce è sgraziata e la musica è calpestata nella sua scrittura. E la colpa non è né di Schubert, né dell’Ave Maria. Quanti canti abituali nelle nostre comunità dovremmo eliminare perché non pertinenti ai vari riti, eseguiti in maniera maldestra e non rispettosi dell’assemblea celebrante?

Una sola conclusione: eliminiamo questo equivoco privo di motivazioni, rimuoviamo questo dubbio incon­sistente, smettiamola con questo diniego e impegniamo-ci per rendere questo sacramento più partecipato e più vero. 


Liberamente tratto da un articolo di Mons. Antonio Parisi, Direttore Ufficio Musica Sacra Diocesi Bari-Bitonto